Il Disturbo da Stress Post-Traumatico - PTSD è stato inserito per la prima volta come categoria diagnostica nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali - DSM nel lontano 1980, nella terza edizione del manuale, per creare una categoria diagnostica che potesse classificare una condizione cronica in persone sane che sviluppano sintomi a lungo termine a seguito dell’esposizione ad un evento estremamente traumatico. All’epoca i sintomi del PTSD non venivano considerati come dipendenti da una vulnerabilità costituzionale, ma conseguenti ad un adattamento a situazioni straordinariamente avverse.
La letteratura della psicologia dell’emergenza ha successivamente permesso di concettualizzare il Disturbo da Stress Post-Traumatico come un prolungamento della normale risposta allo stress. Una caratteristica comune degli studi epidemiologici è la costante presenza di un’importante percentuale di soggetti esposti al trauma che non ha sviluppato il PTSD, da cui deriva la conclusione che il trauma rappresenti una condizione necessaria ma non sufficiente all’insorgenza del disturbo. Numerosi sono stati gli studi che hanno cercato di indagare i potenziali fattori di rischio coinvolti nello sviluppo del disturbo, fra questi sono stati individuati: il sesso, l’età, l’etnia, la personalità pre-morbosa, l’anamnesi psichiatrica, la gravità dell’evento, fattori socio-economici, suscettibilità genetica, danni cerebrali traumatici. Sicuramente l’esposizione ripetuta ad eventi traumatici rappresenta un fattore di rischio importante per lo sviluppo del disturbo, soprattutto se l’esposizione avviene nelle fasi precoci dello sviluppo, quando i sistemi neurobiologici dell’organismo non sono ancora del tutto maturi e risentono maggiormente degli effetti del trauma. Capire i motivi per cui soltanto alcuni individui sviluppino un Disturbo da Stress Post-Traumatico rappresenta comunque tutt’oggi una sfida per i ricercatori della patologia del trauma.
Il PTSD è stato ampiamente studiato anche attraverso le neuroimmagini funzionali. Un dato importante che emerge da questi studi riguarda l’alterazione dei meccanismi regolatori di feedback retroattivo che vengono scompensati a partire da una riduzione del controllo inibitorio da parte della Corteccia Prefrontale Mediale sull’Amigdala, la centrale emotiva del nostro cervello. La maggior parte di questi studi sono stati svolti nei centri di ricerca militari sui veterani della guerra del Vietnam. In seconda battuta, oltre ai traumi da combattimento, sono stati studiati anche i traumi conseguenti all’abuso sessuale. Su questi due filoni di ricerca sono state costruite le teorie neurobiologiche sul Disturbo da Stress Post-Traumatico.
Oltre all’esposizione diretta o indiretta ad un evento traumatico, fra i criteri diagnostici si annoverano sintomi intrusivi, di evitamento, alterazioni negative del pensiero e dell’affettività oltre che dell’arousal e della reattività. La manifestazione clinica del disturbo è comunque molto variabile: le aree sintomatologiche maggiormente compromesse sono diverse da persona a persona. Il disturbo può manifestarsi a qualsiasi età, fin dal primo anno di vita. I sintomi insorgono generalmente entro i primi 3 mesi dall’esposizione all’evento traumatico, sebbene in alcuni casi si possa riscontrare un ritardo di mesi o addirittura di anni prima che siano soddisfatti i criteri sufficienti per una diagnosi. I soggetti che hanno sviluppato un PTSD hanno l’80% di possibilità in più rispetto ai controlli di sviluppare sintomi di altri disturbi mentali, in particolare Disturbi Depressivi, Disturbi d’Ansia o da Uso di sostanze (APA, 2013).
Il trattamento farmacologico del PTSD è considerato trattamento di elezione nella fase acuta: in particolare, viene applicato nella fase iniziale di insorgenza dei sintomi, quando lo stato ansioso irrompe in maniera molto accentuata, o se si presentano comportamenti autodistruttivi o incompatibili con la gestione ordinaria della vita. In questa fase la terapia farmacologia e quella psicoterapeutica sono indicate in combinazione. La terapia farmacologica viene considerata anche nel caso in cui il PTSD si presenti in comorbidità con altre condizioni ansiose o depressive.
I trattamenti psicologici focalizzati sul trauma sono supportati da evidenze scientifiche che ne dimostrano l’efficacia. Fra questi ricordiamo La Desensibilizzazione e la Rielaborazione tramite i Movimenti Oculari - EMDR, la Terapia con Esposizione e Ristrutturazione Cognitiva - EBCRT, la Brief Eclectic Psychotherapy - BEP. L’EMDR è sicuramente la tecnica più conosciuta: sviluppata alla fine degli anni ‘80 negli Stati Uniti da Francine Shapiro, rielaborata nel corso degli anni, è stata sottoposta a numerose prove di verifica dell’efficacia. Tuttavia nella pratica clinica, in fase di progettazione dell’intervento, non è possibile tener conto solo della diagnosi del soggetto; è necessario tenere conto di tutta una serie di caratteristiche che possono modificare in senso migliorativo o peggiorativo la condizione psicopatologica. E’ quindi indispensabile in sede di consultazione un’attenta valutazione di quelli che possono essere considerati fattori di vulnerabilità e di resilienza soggettivi che hanno implicazioni sul decorso della patologia, in modo da individuarli come potenziali target per l’intervento. Per elaborare il vissuto soggettivo relativo all’esperienza traumatica, in particolare i vissuti di passivizzazione, di impotenza, vergogna, rabbia e aggressività è possibile utilizzare anche tecniche di stampo psicodinamico con lo scopo di trasformare i significati personali legati all’esperienza traumatica.
Autore: Mirella Baldi
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