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Il Pianto come mezzo di regolazione

2025-04-22 07:01

Mirella Baldi

Emozioni, espressione-emotiva, regolazione-emotiva, neurobiologia,

Il Pianto come mezzo di regolazione

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Sebbene piangere versando lacrime sia un comportamento unicamente umano, il richiamo di soccorso del neonato alla separazione materna è una reazione condivisa con la maggior parte dei piccoli di mammifero e degli uccelli. Il pianto è il primo canale comunicativo che tutti i bambini utilizzano fin dalla nascita per segnalare i propri bisogni; la sua funzione primordiale garantisce la sopravvivenza della specie spingendo l’adulto ad attivarsi per soddisfare i bisogni del piccolo. Il pianto nasce dunque come richiamo per innescare nell’adulto comportamenti di cura.

 

Il pianto del neonato, inizialmente, si configura come un segnale prettamente vocale. Solo dopo alcune settimane di vita, a tale richiamo si associa la lacrimazione. Nel corso dello sviluppo, le lacrime acquisiscono maggiore valenza e significato a discapito della componente vocale, tanto che già nei bambini è possibile osservare il pianto silenzioso. A differenza di altre specie animali, il bambino rimane dipendente dalla protezione dell’adulto per un lungo periodo di tempo. È plausibile, pertanto, ipotizzare che le lacrime siano state selezionate dall’evoluzione in quanto più vantaggiose per favorire l’accudimento: le lacrime mostrano agli altri che siamo vulnerabili, attivano nell’altro l’empatia e la compassione scoraggiando l’aggressività.


Gli esseri umani piangono anche in età adulta, in risposta ad eventi sia negativi che positivi, di natura significativa o comune, e persino per stimoli relativamente insignificanti come canzoni e film. Il pianto conduce al sollievo nell’immediato e a benefici per la salute nel lungo termine rappresentando un mezzo di espressione e di regolazione emotiva. 


Per la ricerca non é ancora del tutto chiaro se sia l’atto di piangere in sé a produrre sollievo o se lo siano le reazioni positive e confortanti degli altri elicitate dal pianto, ovvero le sue implicazioni relazionali. Alcuni ricercatori, sostenitori della prima ipotesi, hanno tentato di indagare i processi neurobiologici coinvolti nel pianto che possono avere implicazioni nella regolazione emotiva. Un primo contributo evidenzia un’associazione tra una fase tardiva del pianto e un incremento dell’attività del sistema nervoso parasimpatico, sistema correlato ai processi di rilassamento e recupero. Secondo questa linea di ricerca, le fasi iniziali del pianto sarebbero associate all’attivazione del sistema simpatico, mentre una fase successiva sarebbe correlata all’attività parasimpatica. Altro dato riguarda la relazione tra il pianto e il rilascio di ossitocina, un ormone noto per la sua azione positiva sul benessere emotivo, capace di promuovere sentimenti di calma e soddisfazione. Il pianto sembra essere associato ad un aumentato rilascio di questa sostanza che esplica i suoi effetti positivi sul benessere emotivo attraverso differenti azioni. Un ulteriore filone di ricerca ha indagato il ruolo del pianto nella percezione del dolore, evidenziando come in alcune condizioni patologiche di natura infiammatoria il pianto sembri correlato a una effettiva riduzione del dolore. Tuttavia, anche in questo caso i dati disponibili risultano ancora limitati e non consentono di trarre conclusioni definitive.


 La nostra società sta cambiando e il pianto non è più percepito come un segno di debolezza o motivo di vergogna come nel passato, sebbene alcune convinzioni e stereotipi persistano. Riconoscere il valore adattivo dell’espressione emotiva sembra costituire una delle premesse necessarie per invertire la rotta, per fare spazio alle manifestazioni della sofferenza e alla vulnerabilità in quanto esperienze costitutive e imprescindibili dell’esistenza.



 

 

AUTORE: Mirella Baldi 


 


RIFERIMENTI

 

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I contenuti pubblicati hanno scopo esclusivamente informativo. Non possono e non devono essere in alcun modo utilizzati per porre diagnosi né possono sostituire il consulto con uno specialista regolarmente abilitato all'esercizio della professione (medico, psicologo, psicoterapeuta, etc). 

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